Il diritto alla salute. Secondo l’OCSE solo meno del 40% delle persone riceve Cure Palliative

di Grazia Micarelli

Significativa la testimonianza di Massimo Pierdicchi, socio AISLA seguito dal nostro Centro di Ascolto e paziente del Centro Clinico NeMO Milano. La lettera è stata pubblicata il 3 agosto nella sezione del Corriere della Sera, a cura di Aldo Cazzullo. Una riflessione, quella di Massimo, che ci offre l’opportunità di approfondire il tema di grande rilevanza per noi, quello delle Cure Palliative.

Durante le nostre visite domiciliari, infatti, abbiamo avuto molte occasioni per esaminare da vicino il percorso di assistenza domiciliare offerto dalla Regione Lombardia e le sfide che si presentano a livello nazionale in questo settore.

Questa testimonianza conferma ciò che AISLA promuove e richiede al Servizio Sanitario Nazionale. La SLA è una malattia incurabile ma gestibile. Nonostante i progressi significativi nella ricerca, non abbiamo ancora trovato soluzioni risolutive. Questo argomento è delicato, specialmente quando si considera il “diritto alla salute”. Pertanto, diventa fondamentale integrare le cure palliative con quelle specialistiche.

Nel caso della SLA, ad esempio, è essenziale iniziare a fornire cure palliative sin dalla diagnosi, poiché l’approccio si concentra sull’alleviare la sofferenza fisica, psicologica ed esistenziale. La logica è completamente diversa rispetto ai trattamenti oncologici più comuni. Per noi, il concetto di cura include ogni approccio che migliora la qualità della vita.

Percentuale di persone che hanno utilizzato hospice o cure palliative prima all’età di 65 anni o più

La Road-Map iniziata a marzo del 2023 mira a condividere questa prospettiva con medici e operatori sanitari, mettendo al centro la persona come “portatrice di diritti e di tutele”. Ciò significa garantire il diritto a una vita dignitosa per coloro che devono affrontare la fragilità della SLA, ma anche proteggere coloro che scelgono di essere parte del nostro sostegno consapevole.

Massimo Pierdicchi, foto dal web

Qui la testimonianza di Massimo Pierdicchi, pubblicata anche nella nostra sezione testimonianze

L’urgenza di affrontare questa tematica è confermata anche dall’analisi condotta dall’OCSE, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico.

Nata il 30 settembre 1961, l’OCSE ha sostituito l’Organizzazione per la cooperazione economica europea (OECE), che era stata creata nel 1948 per amministrare il famoso “Piano Marshall” per la ricostruzione postbellica dell’economia europea. Inizialmente composta da 20 paesi fondatori, tra cui l’Italia, oggi l’OCSE conta 38 paesi membri: Australia, Austria, Belgio, Canada, Cile, Colombia, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Islanda, Irlanda, Israele, Italia, Giappone, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Messico, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Norvegia, Polonia, Portogallo, Repubblica di Corea, Repubblica Slovacca, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, Regno Unito e Stati Uniti.

Secondo l’OCSE, l’accesso alle cure appropriate per il fine vita, volte a alleviare i sintomi delle persone affette da malattie terminali come dolore, dispnea e angoscia, è ancora molto limitato in tutti i paesi membri.

La missione dell’OCSE, all’interno del panorama internazionale, è promuovere politiche che migliorino il benessere economico e sociale dei cittadini, favorendo l’integrazione dei mercati e il raggiungimento del massimo livello di crescita economica e occupazione sostenibile, incentivando gli investimenti e la competitività, ma assicurando anche la stabilità finanziaria.

L’analisi dell’OCSE rileva che in molti paesi la percentuale di persone che ricevono cure palliative per alleviare i sintomi delle malattie terminali è bassa, meno del 40%.

In Italia, questa percentuale è intorno al 35%. Tuttavia, il Paese ha recentemente implementato un modello per identificare precocemente i pazienti che hanno bisogno di cure palliative. I dati mostrano grandi differenze tra i paesi, con percentuali variabili dal 15% in Bulgaria e Ungheria al 60% negli Stati Uniti e in Finlandia.

Il rapporto OCSE evidenzia anche che molte persone in fin di vita muoiono in ospedale anziché a casa, a causa della mancanza di supporto a domicilio e comunitario. L’accesso alle cure palliative al di fuori delle strutture ospedaliere ha dimostrato di ridurre l’uso delle terapie intensive, dei farmaci e delle spese per la sanità. Tuttavia, le cure palliative vengono spesso fornite solo in una fase avanzata della malattia a causa della mancanza di meccanismi per garantire un accesso tempestivo.

Il rapporto OCSE evidenzia anche una scarsa qualità dell’assistenza fornita alle persone in fin di vita e una mancanza di coinvolgimento dei pazienti e dei loro familiari nelle decisioni sulle cure. Una percentuale significativa di pazienti in fin di vita riceve un trattamento “aggressivo” che non fornisce comfort o benefici a lungo termine.

La gestione delle terapie e delle cure di fine vita è frammentata e spesso carente di finanziamento e politiche basate sull’evidenza.

L’OCSE sottolinea la necessità di maggiori risorse, conoscenze ed equipe multidisciplinari per migliorare l’assistenza di fine vita. L’insegnamento delle cure palliative è obbligatorio in molti paesi per gli infermieri e i professionisti sanitari, ma manca ancora una conoscenza diffusa di queste cure tra il personale sanitario.

I dati sono raccolti nel rapporto OCSE, Time for Better Care at the End of Life, che offre un’ampia panoramica della situazione delle cure palliative nella fase del fine vita, presentando molti indicatori legati ai diversi aspetti dell’assistenza e non solo.

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