Massimo Pierdicchi scrive al Corriere della Sera

Cari Lettori del Corriere della Sera,

Dopo una vita trascorsa a inseguire stimoli e curiosità di ogni tipo (professionali e personali), 2 anni fa mi sono ammalato di Sclerosi Laterale Amiotrofica, che molti conoscono con l’acronimo SLA. Nonostante la triste notorietà di questo nome, non tutti conoscono la crudeltà di questa patologia, che ti costringe pezzo per pezzo a rinunciare ai piaceri della vita: camminare, fare sport, parlare, mangiare e molto altro.

Nella sfortuna di essere stato colpito da una patologia rara che non ha, ad oggi, terapie risolutive, mi sento comunque un malato di SLA estremamente privilegiato. Ho una famiglia che mi aiuta, ho risorse economiche sufficienti per poter ricorrere a collaboratori esterni professionali. Inoltre vivo a Milano, una città ben organizzata, che offre strutture sanitarie avanzate e all’interno di un sistema che destina risorse per la disponibilità di costosi ausili indispensabili per la sopravvivenza di un malato di SLA (letto, carrozzina, respiratore, sollevatore e perfino il puntatore oculare che mi permette di scrivere queste righe). Ho anche la fortuna di avere una fedele e intelligente comunità di amici che mi hanno sempre tenuto compagnia non facendomi mai sentire, come spesso accade, una frequentazione residuale nonostante le oggettive limitazioni nella possibilità di condividere esperienze. Nel mio percorso clinico, sono seguito presso il Centro Clinico Nemo, un’eccellenza del sistema sanitario di cui apprezzo la serietà e l’approccio multi-discliplinare: a mia disposizione ho infatti neurologici, pneumologi, terapisti occupazionali, psicologici e molti altri professionisti. Il centro Nemo mi ha offerto inoltre, la possibilità di partecipare alla sperimentazione di nuovi farmaci, cosa che, in assenza di certezze, rappresenta una “salutare” fonte di speranza.

Purtroppo non tutti i malati SLA dispongono delle condizioni favorevoli e privilegiate che ho elencato in questa premessa: lo scopo di questa lettera è quello di segnalare invece un valido servizio disponibile per tutti i malati SLA che ho avuto modo di sperimentare durante questi ultimi mesi, mi riferisco al servizio di Cure Palliative Domiciliari, è un servizio che può veramente fare la differenza nell’affrontare le difficoltà quotidiane legate ad una patologia grave.

Da circa 3 mesi infatti, utilizzo un servizio della Regione Lombardia di cure palliative che nel percepito collettivo vengono erroneamente associate al fine vita ma che invece si sostanzia in un percorso farmacologico – gestito da una equipe medico-infermieristica volto a garantire una buona qualità della vita, compatibilmente con la mia condizione, attraverso una gestione  mirata dei sintomi che di volta in volta si manifestano. Il servizio è completamente gratuito, con disponibilità h 24 in caso di emergenze, si sostanzia in visite ravvicinate a domicilio di medici ed infermieri esperti che seguono il paziente nel quotidiano insorgere di problematiche connesse all’ evoluzione della patologia e di volta in volta istruiscono la famiglia e il badante nella somministrazione delle cure, questa collaborazione permette al malato di essere curato a casa con i dovuti presidi e in sicurezza.

 Si riducono quindi per me e la mia famiglia le ansie e le preoccupazioni legate alle complicate ricerche (attraverso fonti più o meno attendibili) su come decifrare i segnali di un corpo che presenta un processo di degenerazione. Una gestione sicura e controllata della sintomatologia da parte di esperti dona sollievo e conforto a chi si prende cura di me e mi permette di continuare a vivere nel calore della mia casa, circondato dall’affetto della mia famiglia, privilegio, credetemi non affatto banale. Oltre ai benefici personali, ci tengo ad evidenziare quanto questo sistema sia efficace nell’evitare il sovraccarico delle strutture sanitarie di base e specializzate, con un approccio estremamente innovativo e personalizzato sul paziente, che rifugge da ogni protocollo standard, del tutto inutile per patologie complesse come la mia.

Con questa mia testimonianza vorrei invitare quindi la società a riconsiderare le cure palliative, non confinandole ad una dimensione di fine vita ma trattandole come uno strumento efficace nel garantire dignità e una buona qualità della vita a chi come me è costretto a convivere con una patologia irreversibile. Le cure palliative non hanno certo cambiato la destinazione del mio percorso, hanno saputo però restituirmi la libertà di scegliere come arrivarci.

Massimo Pierdicchi

Milano, 28 luglio 2023

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