Perché le Cure Palliative nella SLA?

Milano, 20 novembre 2022 L’appropriatezza di un modello assistenziale per la gestione della complessità. La persona con SLA deve essere presa in carico dalle cure palliative sin dalla diagnosi.
L’integrazione delle cure palliative nel percorso di cura della persona con SLA è una condizione confermata da numerosi studi. Infatti, se la presenza di specialisti di cure palliative nel percorso di cura di una malattia neurologica può essere una opzione con diverse tempistiche quando esiste una
possibilità di guarigione neurologica seppur temporanea, in presenza di un continuo declino funzionale senza remissioni questa non si ritiene possa essere opzionabile.

Il valore dell’integrazione delle cure palliative è sostenuto nel modello ambulatoriale in cui le cure palliative specialistiche affiancano le cure specialistiche (neurologiche, pneumologiche, fisiatriche, ecc.).
Da uno studio (6) emerge che: “52 malati di 69 (75%) pazienti arruolati con una diagnosi confermata di SLA sono stati visitati da un medico di cure palliative. Il motivo più comune per cui 17 malati non sono stati visti dalle cure palliative è stata la mancanza dell’autorizzazione assicurativa (n = 5). Durante la visita, il 94% dei pazienti ha discusso almeno una pianificazione anticipata dell’assistenza o gli obiettivi di cura. L’argomento più comune è stato il livello di cura in acuzie (40%). Gli obiettivi di cura più comuni sono stati il significato e i valori personali (57%). La gestione dei sintomi è stata approfondita in 40 pazienti
(77%). Il sintomo più comune affrontato è stato il dolore e/o gli spasmi muscolari (33%).”

In un altro studio (3) “ 74 (14,8%) dei 500 pazienti totali ha avuto una visita dallo specialista di cure palliative in 1 anno. Il ritorno dallo specialista è stato spesso promosso da esigenze di pianificazione anticipata dell’assistenza (91%). La prima visita ha incluso più frequentemente obiettivi di cura (84%), lo stato psicoemotivo ansia / depressione (35%) e il processo decisionale medico sull’alimentazione (27%) o sulla tracheostomia (31%). La gestione dei sintomi comprendeva un numero relativamente modesto di visite e la durata delle visite era limitata dall’affaticamento del paziente”. In effetti, dalla letteratura (7), si evince che il 27% dei centri dedicati alla SLA includono gli specialisti di cure palliative e questi, di solito in fase avanzata, sono introdotti – nei percorsi di cura – ai pazienti e alla famiglia dagli stessi specialisti
della SLA (75,94%).

Del resto, è confermato da dati solidi che i pazienti con obiettivi di cura complessi – come nella SLA -beneficino del supporto di uno specialista di cure palliative e che i modelli di integrazione possano aiutare a facilitare l’erogazione delle cure più appropriate.

Contestualizzando, per i malati SLA e le condizioni ad essa correlabili, quali la demenza fronto temporale o i disturbi del comportamento, si comprende che gli sforzi per documentare gli obiettivi e le preferenze di trattamento del malato prima che si manifesti una problematica acuta – soprattutto se respiratoria -, devono anticipare le future disabilità (ad es. alimentazione, comunicazione).

Questo processo di comunicazione e definizione richiede competenze specifiche proprie di un percorso di “neuropalliative care” (4). La persona con SLA deve infatti conoscere – secondo la legge 219/2017 – i benefici e i limiti dei diversi trattamenti, e la circostanza che alcuni di questi, quali la tracheostomia, prolungano la vita nonostante che la malattia continui a progredire, sino – in alcuni casi – a non consentirgli di esprimersi, elemento di grave criticità se e quando questo comportasse il desiderio e la volontà di spostare i propri obiettivi di cura.

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